Other Colors

Avevo 18 anni quando scoprii di non vedere i colori come gli altri. Non è una cosa rarissima, circa il 5% degli uomini – molto meno per le donne – ha difficoltà coi colori da lievi a moderate, come nel mio caso, al mondo visto in bianco e nero, nei casi limite. Da quel momento ho sempre sospettato che la mia percezione di tutto fosse influenzata da questo fatto, in qualche modo: vedo altri colori e probabilmente sento altri suoni.
Il suono di questo quartetto ce lo avevo in mente da molto tempo, ma si è concretizzato solo quando tutte le tessere del mosaico sono andate al loro posto.
L’incontro con Bruce Ditmas è stato fondamentale. Ho amato da subito quel disco che per alcune edizioni (come quella che avevo io) si chiama Jaco e che comprende oltre a Bruce, Paul Bley, Jaco Pastorius e Pat Metheny. Ho sempre pensato in maniera un po’ assurda che avrei avuto qualcosa a che fare con quel disco e quando ho conosciuto Bruce ho sentito che era arrivato il momento. A quel punto è stata chiara la scelta degli altri musicisti necessari, sì, necessari. Con Antonio suono da una vita e lo ritengo uno dei musicisti più creativi e intelligenti in circolazione, cosa che mi sento di dire, benché la conoscenza sia più recente anche di Lorenzo. Si tratta di musicisti attenti al suono, all’intenzione; persone che hanno chiaro ciò che vogliono “dire” in ogni momento e che sanno calarsi all’interno di una situazione facendola propria.
Con loro tre ho avviato – trascinato da un istinto che definirei stravagante – un percorso improbabile. Abbiamo passato un anno a provare e a suonare blues.
Bruce: “Do you really wanna play this?”.
E io, sicuro come non sono mai: “Yes”.
Siamo andati avanti così fino al giorno della registrazione (che è dell’estate del 2017). Succede poi che la notte prima io mi ascolti senza riuscire a togliermi le cuffie tutto “The pilgrim and the stars”, capolavoro assoluto di uno dei più grandi musicisti viventi e a seguire, appunto, Jaco. Ad un certo punto mi fisso su un brano di Carla Bley, Vashkar e grazie a internet, me lo ascolto in tutte le versioni che trovo. Infine alle tre di notte mi ascolto Nefertiti e vado a dormire dopo aver scritto al volo due appunti su Vashkar. Arrivo alle 10 puntualissimo in sala d’incisione, agli studi della casa del jazz. Non arrivo mai puntuale, ma qualche giorno prima avevo fatto arrabbiare Lorenzo per una serie di ritardi che avevo saputo accumulare prima di un concerto, quindi non avevo chance. Dormire tre ore e partire per Roma. Arrivo, suoniamo un mio blues un paio di volte e a quel punto cominciamo a suonare Vashkar, poi Lonely Woman, Ida Lupino e un brano (For a Gentleman) che ho scritto alcuni anni fa per una delle persone più gentili che ho incontrato nella mia vita di jazzista e che purtroppo non c’è più. Ci suoniamo anche uno dei blues del repertorio che avevo voluto, con una cocciutaggine che di solito non ho, provare e riprovare “The house of the rising sun”, come a voler lasciare traccia del lavoro fatto. Infine Other Colors, un brano che ho scritto per una colonna sonora di un documentario di Wilma Labate che mi ha all’improvviso aperto gli occhi su cosa cercassi e sul perché. Volevo suonare la musica che amo da sempre, ma con uno spirito diverso, più vicino all’essenza di questa meraviglia che chiamiamo jazz. Non sono un fenomeno con le citazioni, ma mi pare che proprio Miles disse un giorno a proposito del jazz “We are all blues players”. Il blues, “the meaning of the blues”, questo ho cercato in questo disco.

Recensioni

Disco di rara bellezza!
Flavio Caprera: Jazz Convention

Un quadro variopinto, ricco di sonorità inebrianti, ipnotiche, asperità armoniche e atmosfere tensive, intrise di suspense.
Stefano Dentice: italiainjazz.it

Varietà e, al tempo stesso, coerenza e rigore costituiscono i dati più significativi di questo pregevole lavoro.
Enzo Boddi: musicajazz.it

Olivieri dà prova della sua notevole capacità espressiva, che attinge con spontanea naturalezza a più ambiti stilematici.
Neri Pollastri: allaboutjazz.com

Un felice compromesso tra melodia e sperimentazione, scrittura e sintesi.
Olindo Fortino: sonudcontest.com

C’è tanta consapevolezza e maturità in questo lavoro. Disco da segnalare!
Marco Campea: iconaculturale

Una mostra estemporanea di colori ed immagini sonore oniriche ed avvolgenti, ricco di precipizi armonici, discese ardite nelle profondità abissali del jazz e luminose risalite ricche di tensione emotiva.
Francesco Cataldo Verrina: il ventuno

Un disco davvero molto bello
Alessandro Bertinetto: Kathodik

l’esperienza di “vedere la musica” si fa contingente
Pier Marco Turchetti: The New Noise

Trumpet, electric guitar, electric bass and drums telling tales about Olivieri’s specific approach towards music and composition […] Recommended.
Blaze.Djunkiii: nitestylez.de

Olivieri’s somewhat classic trumpet tone leads, in front of a well-playing “accompaniment” that makes us want to hear more […] It’s been a while since I last heard Olivieri. It was for approx. seven years ago on “Europe Jazz Nights” at the Victoria National Jazz Stage in Oslo and over the course of the seven years, I think Olivieri has further developed the trumpet playing. He has become a better composer, and I feel he has found his place in Italian jazz where he can develop his ideas without looking either to the right or to the left. (translated from Norwegian).

Jan Granlie: salt-peanuts.eu